Gilles Villeneuve, navigando sul filo delle emozioni

Gilles Villeneuve, un pilota, una persona per il quale trovo sempre difficoltà nell’esprimere delle parole. Anche se per questioni anagrafiche non l’ho potuto vivere è come se lo sentissi all’interno dell’anima, come se il filo delle emozioni che ha lasciato tanti anni fa si fosse propagata attraverso lo spazio ed il tempo fino ad arrivare dritte nel cuore.

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Gilles Villeneuve al Gran Premio di Monaco del 1979

La nascita dell’Aviatore

Il piccolo canadese arriva in Italia attraverso l’incredulità generale, visto che avrebbe dovuto sostituire l’insostituibile Niki Lauda, che dopo aver vinto in anticipo il titolo 1977 lascia Ferrari senza nemmeno terminare la stagione.

Inizia in questa maniera l’avventura di Gilles in rosso, o meglio l’azzardo di Enzo Ferrari che è inspiegabilmente attratto dalle maniere impacciate, pure, di quel giovane.

Gli inizi non sono dei migliori, anzi sembra un vero e proprio disastro. Villeneuve appare fuori dagli schemi per quella Formula Uno, sembra ancora piccolo per quel mondo all’interno del quale si ritrova catapultato senza alcun preavviso.

Nel tentativo di superare quelli che erano i suoi limiti commette degli errori, come quello nel GP del Fuji nel 1977 in cui perdono la vita due fotografi dopo un volo sopra la testa di Ronnie Peterson terminato dopo ben sette capovolgimenti della vettura.

Gilles ne esce illeso, non ha colpe per quelle morti, quei fotografi non dovevano trovarsi lì, ma nonostante ciò è ritenuto colpevole dalla stampa come sempre alla ricerca di un capro espiatorio da martoriare.

Può sembrare la fine, ma il Commendatore è convinto della sua scelta, deve vincere il patto che ha fatto col diavolo e così l’avventura in rosso dell’Aviatore (soprannome derivato proprio dai continui voli con conseguenti incidenti di Villeneuve ad inizio carriera) continua.

L’ambientamento in Ferrari ed il cuore di Gilles

Il 1978 è ancora un anno di ambientamento, di critiche, alle quali Gilles risponde con una vittoria all’ultima gara della stagione, in Canada, nella terra in cui è nato.

L’anno successivo, il ’79 sarà un anno chiave per iniziare a conoscere veramente quel ragazzo così timido che ogni weekend di gara piazza un motorhome di quasi dieci metri al termine del paddock dove alla fine della giornata lo attende la moglie Joann con i piccoli Jacques e Melanie.


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La 312-T4 è una vettura da mondiale, Gilles è uno dei pretendenti al titolo, ma la sua continua ed ossessiva ricerca del limite lo spinge a commettere errori senza i quali avrebbe tranquillamente potuto vincere il campionato del mondo.

A Monza è ancora in corsa per il titolo assieme al compagno di squadra, Jody Schekter. Si potrebbe pensare ad una battaglia in casa, ma il giovane Villeneuve è diverso da quello che si può pensare, scorta Schekter fino al traguardo, regalandogli il mondiale e consentendo a Ferrari di festeggiare quello Costruttori.

Le imprese e le emozioni che potevano riuscire solamente a lui

Il 1980 è un anno fallimentare, senza acuti, mentre il 1981 è l’anno della prima Ferrari turbo, l’anno delle magie e delle imprese, l’anno in cui nasce la Febbre, che ancora oggi avvolge il ricordo di Gilles.

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Gilles Villeneuve prima del GP di Imola del 1979

Il primo miracolo è la vittoria di Monaco, con una vettura nata per sfruttare i rettilinei e molto lenta in curva rispetto al resto del lotto, da qui si può solamente percepire la grandezza dell’impresa.

Il secondo miracolo avviene la gara successiva, in Spagna, dove Gilles si ritrova in testa alla gara e come nel Principato, con una vettura nettamente inferiore a quella degli altri in curva, gestisce per la maggior parte della corsa quattro assatanati che lo seguono attaccati.

Di fatto, cinque vetture arriveranno al traguardo racchiuse in un secondo e cinquantuno.

L’anno 1982 è l’anno in cui Ferrari deve ripagare Villeneuve e le premesse sono buone, molto buone, ma purtroppo arrivò Zolder, giorno dal quale rimpiangiamo il nostro campione senza corona ma che inevitabilmente resterà per sempre nei nostri cuori.

Fonte foto copertina: Corriere della Sera


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